IL DIVINO NON ESISTE
L’αϑpm nasce, si fonda e si sviluppa sulla base delle tesi coniugate del biologo-genetista Jacques Monod e del fisico-chimico Ilya Prigogine. Essi in sostanza vedono la realtà ontica (il ciò che è) come una fluttuazione di conservazione e di innovazione, di equilibri sistemici, di rottura di essi e di evoluzione verso altri. Ciò significa negare ogni validità al determinismo (una fede dogmatica come le altre e priva di fondamento scientifico) e delineare invece un indeterminismo chiaro e inequivoco, con la necessità che conserva e il caso che innova.
Il divino non esiste
Tamagnone è indeterminista, ma solo nel 2010 licenzia un saggio che ne tratta in modo specifico e che egli avrebbe voluto intitolare “Il caso e i suoi casi”, poi cambiato dall’editore in “Dio non esiste” per la scarsa comprensibilità di quel titolo. E tuttavia l’inesistenza del divino è un po’ il succo filosofico di un’indagine di tipo scientifico, che però inizia con una breve prolusione storica su ciò che il filosofo combatte e che accomuna sotto l’etichetta di “idealismo”, esplicito o camuffato:
Il nocciolo della teologia platonica, deterministica e immaterialistica, la matrice di tutti gli idealismi, persiste, solidissima, anche nelle varianti di Aristotele e di Plotino, che confluiranno (per quanto molti non se ne rendano conto) nel Cristianesimo. Questo nasce dalla dottrina cristologia inventata da San Paolo [che è poi l’essenza dei Vangeli Sinottici], nelle manipolazioni dal II al IV secolo, nelle tessi platoniste di Sant’Agostino e nelle elaborazioni conciliari del IV e V secolo. E non tanto la Scolastica, quanto le tre grandi metafisiche barocche di Cartesio, di Spinoza e di Leibniz, hanno poi, più o meno in sintonia con la dottrina cristiana, consolidato il determinismo, l’ontologia della necessità. Questa teologia, ortodossa nel primo e nel terzo ed eretico-panteista nel secondo, ha poi improntato la teologia filosofale successiva con conferme, varianti, interpolazioni, estrapolazioni ed ermeneutiche. Sicché, in vario modo e per linee dirette o indirette, Kant viene da Cartesio e da Leibniz, Hegel dal Neoplatonismo e da Spinoza, Bergson e Whitehead da Leibniz, Husserl da Cartesio, fino a Emanuele Severino che riparte da Parmenide.
cfr. Dio non esiste 2010, p.7.
Tamagnone dà inizio al primo capitolo del saggio (Il caso, “mostro” ontologico e gnoseologico) con una certa ironia:
Il caso, in quanto perturbatore, negatore della legge, del destino, della ragione è eminentemente il “distruttore”. Il modo più efficace per tenerlo a bada è divinizzarlo (per esempio farne la dea Fortuna) poiché una divinità la si può ammansire con preghiere e sacrifici. Se ne fa un feticcio e lo si banalizza. Spararlo lontano il più lontano possibile, quindi in cielo, ma li ci sono già le divine Idee Platoniche e il Dio-Volontà, che è “Buono e Provvidenziale”. Il caso è l’abominevole-innominabile e lì non si può mandare. Un po’ più vicino ci sarebbe l’Inferno. Laggiù il maledetto potrebbe stare per l’eternità col suo degno compagno Satana; ma il caso è capriccioso e criminale, killer della fede e della ragione lo sarebbe anche dell’Anti-Dio, all’Inferno potrebbe ammazzare Satana e diventare lui il capo delle forze del male e a questo punto persino Dio rischierebbe grosso. In fondo Satana è controllabile, come angelo caduto resta legato al suo creatore, che ha tradito ma dal quale è controllato [Anzi, il Tentatore ne è funzionario: deve tentare i fedeli per tastare la loro fede]. In secondo luogo, Satana opera secondo le stesse leggi di Dio, violandole.
cfr. Ivi, p.19.
Queste metafore ironiche paiono una sorta di captatio benevolentiae del lettore, che dovrà poi sobbarcarsi dei capitoli su base scientifica piuttosto ostici. Prosegue:
Il caso non ha leggi né scopi, è cieco, sordo e “senza senso”, senza nessuno che possa produrlo o pilotarlo, nessuno che possa manipolarlo e nessuno che possa determinarlo; neppure condizionarlo! Terribilmente indeterminato quanto indeterminabile [e indeterminatore!]. Dunque, se esso dovesse spodestare Satana farebbe molto più male, e Dio non potrebbe distruggerlo poiché non è una Sua creatura com’è Satana [...] Dio ha creato tutto salvo il caso. Il Dio-Volontà non fa poi tanto male al conoscere umano, è il Dio-Necessità a farne molto. è assai più equivoco e subdolo, quindi più pericoloso per la conoscenza in generale e soprattutto per la filosofia. Essa, per come la vedo io è “amore del conoscere” e non “amore del sapere” pre-fabbricato con la logica e la dialettica metafisiche. Se mi si passa una battuta: demolire il Dio-Volontà è un po’ come “sparare sulla Croce Rossa”; mentre demolire il Dio-Necessità è come assaltare un super-carrarmato con la pistola.
cfr. Ivi, p.20.
Il filosofo passa poi in rassegna tutto ciò di cui il caso è demolitore, smascheratore o demistificatore. Il Divino, ovviamente, ma poi anche il fato, la logica quando si fa falsa ragione, la fede deterministica che ne fa un “tabù” (pp.19-43). Nel secondo capitolo egli inizia con l’analisi degli indirizzi deterministi e i le tesi dei loro rappresentanti, per mostrarne l’inconsistenza, soffermandosi particolarmente su Laplace: colui che nel 1796, con Exposition du système du monde, dava una teoria deterministica che sarebbe rimasta inossidabile per quasi un secolo e mezzo. Analizza poi il gioco d’azzardo:
Un tipico non-caso, ma che apparentemente evoca il caso, è quello che riguarda i fenomeni meccanici tra i quali c’è anche una “gettata di dadi”. Proviamo ad elencare quali variabili potrebbero essere importanti ai fin del “come” il gioco si gioca: 1 ̊, la posizione iniziale dei dadi che stanno per uscire dal bicchiere e piombare sul tavolo; 2 ̊ il rapporto dimensionale tra dadi e bicchiere, in ragione dell’attrito tra essi e quello con la parete del bicchiere nella fase di uscita-scivolamento; 3 ̊, il peso specifico del materiali di cui sono fatti i dadi; 4 ̊, le loro dimensioni; 5 ̊, la smussatura dei loro angoli; 6 ̊, la velocità di getto; 7 ̊, l’altezza di getto; 8 ̊, la planarità del tavolo; 9 ̊, eventuali irregolarità. Questi possibili fattori di incidenza sono tutti agenti all’interno delle leggi deterministiche della meccanica. Il gioco dei dadi funziona come indeterministico perché nessuno si preoccupa di considerare le variabili che ho elencato e se le considera è per controllare le variabili del gioco con lo scopo di barare. Ovviamente in questo senso la strada più semplice è truccare i dadi, perché truccare il resto, al fine di un certo risultato è praticamente impossibile.
Ivi, p.100.
Il filosofo invita all’esperimento mentale di rendere il gioco totalmente deterministico, robotizzandolo:
Siccome in gioco sono soltanto leggi meccaniche, dovrebbe essere possibile, soprattutto sostituendo l’uomo e il suo braccio con un robot con braccio meccanico computerizzato, determinare a priori come questo debba lanciare a partire da condizioni iniziali pre-determinate. Per esempio, fissare le dimensioni del bicchiere e quelle dei dadi in ragione della densità dei materiali, posizionare i dadi in un certo modo su un fondo bicchiere di dimensione prefissata. Se si fissano ancora le altezze di caduta e le velocità, in linea teorica il risultato è predeterminabile. Questo ci dice che il gioco dei dadi è un falso tipo di casualità dal punto di vista ontologico, restando però vero dal punto di vista esistenziale per un animale intelligente che lo gioca divertendosi o disperandosi, vincendo o perdendo col solo movimento di un braccio. Ciò significa che questo gioco basato su due cubetti numerati a sei facce (lat: alea), da cui l’aggettivo aleatorio o casuale del gioco che si può fare, non vale riferito all’ontologia, ma solo all’esistenzialità. A maggior ragione non c’è caso ontologico nel gioco della roulette.
Ibidem.
Saltiamo le complicate descrizioni e le analisi del caso nel mondo subatomico, in quello macrocosmico, nella complessità molecolare, nella biologia e nella genetica (pp.101-156) e arriviamo all’ultima sezione, dal titolo Aut-aut: o il divino o il casuale. Leggiamo:
Si potrebbe addirittura ribaltare ciò che ha dominato il pensiero umano dai suoi primordi, sostenendo che il caso non è solo sconnessione e intrico di cause nel mondo presente, bensì la causa originaria di tutte le cause. Se, secondo le mitologie, all’inizio degli inizi c’era solo caos, quello di Esiodo o quello della Bibbia (<<massa senza forma e vuota>>, Genesi: 1,1) o quello di molti altri miti religiosi, che cos’è che ha fatto partire il processo caos → cosmo? Se il caos era lo stato dell’arché, il “prima dell’essere”, occorrerà rileggere la storia del cosmo in modo nuovo. Infatti: con quale legittimità si è potuto immaginare che una Volontà abbia potuto trasformare il caos in cosmo? Nessuna! è stata la fantasia umana a pretendere che il Supremo Creatore-Demiurgo fosse un essere che “pensa e vuole”. Ovviamente ognuno è libero di immaginare questa Volontà come gli pare, così come può spersonalizzarla e farne una Necessità.
Vi sono ontologicamente solo due possibilità: che la Necessità fosse esterna al caos o ad esso intrinseca [come il Logos stoico e la Sostanza di Spinoza]. Se esterna vi è il forte cospetto che non sia altro che il Dio-Volontà rinominato Dio-Necessità, se intrinseca bisogna domandarsi perché prima di “agire” essa “dormisse”. E soprattutto: <<che cosa l’ha svegliata o attivata?>>. Infine, se tutto esiste ab aeterno “così e non altrimenti”: <<Perché le stelle nascono e muoiono e le specie appaiono e si estinguono?
cfr.Ivi, p.159.
Da queste parole già comprendiamo ciò che l’ha preceduto, la chiarificazione del fatto che il caso è, a tutti gli effetti, una causa, e per nulla un’assenza di cause (come la vulgata vorrebbe far credere). è per l’esattezza uno dei due tipi di causalità fenomenica, quella intricata, mentre l’altra è lineare e si chiama necessità. E ancora:
Se si immagina un caos originario (una quiete quantistica statica) soltanto una turbativa (una casuale perturbazione energetica) può aver determinato l’uscita dell’origine dal suo letargo per mutarsi e trasformarsi in energia formativo-creativa e produrre un universo. In questa prospettiva il caso è il primario di cui abbiamo già parlato, non il secondario che intrica le cause, ed allora quello è “la” causa di tutte le cause. Ad ogni modo il caso primario “non ha creato”, ma semmai “ha distrutto” [...] Il caso primario semplicemente ha rotto una stasi e “fatto partire qualcosa”, un processo sistemico disgregativo-aggregativo.
La realtà del caso secondario, della necessità e delle cause seconde che governano il cosmo e lo mantengono in relativo ordine, sono l’estrinsecazione della tendenza a persistere di tutto ciò che esiste [una specie inorganica di Volontà schopenhaueriana]. Il caso primario, dopo aver agito sulla stasi per scatenare il mutamento, ha prodotto un disordine di passaggio per finire in un quasi-ordine, quello cosmico [che erroneamente è stato gabellato come “ordine” paradigmatico]. Esso è mantenuto tale, o quasi, da un insieme di leggi e costanti fisiche. Queste, nate dal divenire di tutte le cose, sono coniugate con tutte le leggi conservative. Ma le cause che ne derivano, come s’è detto, possono agire in modo connesso-lineare oppure sconnesso-intricato.
Il filosofo ci dà qui un quadro in cui confluiscono i vari aspetti del suo pensiero sul piano ontologico e su quello gnoseologico, dedotti da fisica e biologia. Precisa:
Anche le reazioni chimiche, che riguardano le molecole e quindi il macroscopico, sfuggono perlopiù alla nostra percezione, eppure le reazioni chimiche sono in sé deterministiche, non lo sono più solo quando una concausa esterna toglie loro linearità causale. Se io ho dato corso a una reazione chimica per ottenere una certa sostanza e tale reazione deve avvenire a 120℃ [quindi occorre scaldare], se manca la corrente perché un temporale ha buttato giù un albero che ha tranciato il cavo, la linearità è rotta per un causa esterna al sistema, ne ha alterate le condizioni e ciò che io troverò alla fine saranno o i reagenti di partenza o qualcos’altro di casuale e non voluto. La stessa cosa avviene per certe reazioni che avvengono soltanto a forti pressioni, se il contenitore in cui avvengono si danneggia per qualche ragione, il sistema in reazione perde pressione e la linearità è interrotta.
Sull’argomento si vedano le pagine web apribili
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